Dichiarato «sovversivo e antifascista» per un insulto al Re

Una vicenda venuta alla luce in seguito alle ricerche condotte dall'Anpi Corato

domenica 15 maggio 2022 15.00
Giovanni Capurso, presidente della sezione Anpi di Corato, ha condotto insieme a Vincenzo Catalano e ad altri attivisti una serie di ricerche storiche sulla lotta antifascista in città e nel territorio, intitolata "Storie resistenti". Una delle vicende rimarchevoli ricostruite - anche attarverso l'acquisizione di documenti - riguarda un cittadino accusato di sovversione.

Per capire il clima soffocante che si respirava a Corato, come altrove, e quanto bastasse poco per finire nei guai durante il periodo fascista, ci può essere di aiuto la storia del malcapitato Giuseppe Di Bisceglie, ventinovenne soprannominato in paese "Mangia guadagne", sposato e con tre figli.

Un gesto di rabbia o una frase scomposta nei confronti del re o del duce, infatti, costituivano un buon motivo per essere mandati al confino. Il 14 novembre 1934m presso la casa di tolleranza di Corato di via Gabriele D'Annunzio nç (per opportunità non riportiamo il civico), il carabiniere Michele Sciscioli e il vigile notturno Giuseppe Strippoli procedettero all'arresto di Giuseppe Di Bisceglie per offese al Re.
Cosa aveva fatto di così terribile il giovane?

Come dichiarò la conduttrice della casa del meretricio Rosa Attolino, nel bordello, dove in quel momento si trovavano "varie persone" (è risaputo che il luogo fosse particolarmente affollato e controllato), il gradasso, «per dimostrare che disponeva di denaro da poter ben pagare le prostitute, ed anche offrire agli altri, cominciò a maltrattare fra le mani alcuni suoi biglietti da cento lire». Così «uno dei presenti lo pregò di non maltrattare in quel modo il danaro lavorato».

A questo punto il Di Bisceglie, in maniera "spavalda", pronunciò a voce alta la frase incriminata: «Io il denaro non lo curo, e vada in culo a Vittorio Emanuele III ed i suoi reali successori». Poco importa che, come continuò a dichiarare la testimone, fosse «alquanto brillo».
Ad aggravare la posizione del sovversivo contribuì anche la grave colpa di non essere mai stato iscritto al Partito nazionale fascista.
Alla fine, l'imprecazione del malcapitato, come si può evincere dalla relazione dalla Tenenza di Andria alla Regia Questura Bari, lo trasformò in una sorta di mostro, tanto da essere mandato al confino ai sensi dell'articolo 164 della Legge di Pubblica Sicurezza e della Legge n° 773 del 18 giugno 1931:

L'individuo in oggetto pregiudicato per reati contro le persone, è abitualmente dedito al contrabbando del vino e refrattario al lavoro onesto.
Di carattere impulsivo e violento, il Di Bisceglie esercita una prepotente ascendenza nell'ambiente in cui vive ed appartiene a famiglia malfamata essendo di lui padre un pericoloso delinquente ed un tempo sovversivo.
Il Di Bisceglie, pur non avendo precedenti di carattere politico, recentemente si è reso responsabile del reato di offesa a S.M. il Re, suscitando lo sdegno della patriottica e laboriosa popolazione di Corato.
Pertanto, essendo egli un soggetto pericoloso all'ordine sociale, e ritenendosi necessario che venga allontanato dal comune di Corato, questo comando propone che venga assegnato al confino di polizia.


La destinazione decisa per lui fu quella di San Fili nella provincia di Cosenza, in "terra ferma" (cioè non destinato ad un isola), per la durata di due anni in qualità di "confinato politico".
Ovviamente a nulla valsero le richieste di "clemenza", anche della mamma, per il crimine commesso, in quanto, come venne scritto, «produrrebbe cattiva impressione nel pubblico».

Nell'estate del 1939, poco prima dell'inizio del conflitto mondiale, il giovane venne richiamato alle armi in Tripolitania per raggiungere la 5ª Compagnia lavoratori Suoni Ben Aden in qualità di caporale maggiore, facendo poi perdere per un certo periodo le sue tracce. Ma il 4 marzo 1943, con il regime ormai in piena crisi (cadrà il 25 luglio 1943), la Legione territoriale dei Carabinieri Reali di Bari inviò ancora una lettera riservata alla Regia Questura di Bari con la quale venne riportato che l'antifascista «mantiene idee politiche contrarie al Fascismo (...) Non ha dato alcuna prova di ravvedimento».
Da quel momento di lui si persero le tracce.
Dichiarato «sovversivo e antifascista» per un insulto al Re
Dichiarato «sovversivo e antifascista» per un insulto al Re
Dichiarato «sovversivo e antifascista» per un insulto al Re
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