Vincenzo Di Candido, il coratino in Canada che ricorda l'Italia nel suo libro "L'Emigrant"

La sua storia raccontata dal quotidiano online italocanadese "Il Corriere Italiano"

giovedì 3 giugno 2021
La storia di Vincenzo Di Candido è la storia di uno dei tanti coratini che hanno lasciato la propria terra alla ricerca della fortuna lontano da casa. Vincenzo di chilometri ne ha fatti tantissimi, spostandosi prima in Francia e successivamente in Canada dove ha fondato "Echos Montrèal", un giornale molto diffuso e letto. È anche autore del libro "L'Emigrant". Di lui si è occupato il quotidano online canadese "Corriere Italiano" con una intervista a firma del direttore Fabrizio Intravaia che di seguito pubblichiamo e che ringraziamo per la gentile concessione.

Vincenzo Di Candido, 77 anni, originario di Corato, in provincia di Bari, è presidente ed editore di "Echos Montréal" (http://echosmontreal.com/) , un mensile di attualità politica sociale e comunitaria che si occupa, in particolare, della zona del Vecchio Porto e del centro città.

La pubblicazione in francese che ha una tiratura di 40.000 copie e conta circa 100.000 lettori, è distribuito anche nelle zone limitrofe al centro come il Plateau Mont-Royal e il Sud-Ovest. Vincenzo, "Vincent" per gli amici francofoni, ha scritto anche un libro, "L'emigrant", nel quale racconta la saga di una famiglia dell'Italia del Sud, la sua famiglia, in fuga dalla povertà e dalla miseria ed emigrata negli anni '60 alla ricerca di una vita migliore prima in Francia e poi a Montréal.

Vincenzo cosa racconta nel suo libro?
«Dopo la guerra, come molti italiani che sono andati all'estero in cerca di una vita migliore, mio padre – racconta – è andato a Grenoble dove c'erano già alcuni parenti. Era il 1955 e fu costretto ad abbandonare il nostro paese, Corato, perché, non sopportava le ingiustizie. Si occupava degli operai che pulivano le strade e aveva scoperto che i suoi datori di lavoro si appropriavano indebitamente dei soldi destinati ai colleghi. Fu licenziato, partì per Grenoble umiliato per il fatto che non avesse lavoro e non potesse così sostenere la sua numerosa famiglia.
In Francia non furono certo "rose e fiori". Subì discriminazione e razzismo, ma piano piano riuscì a mettere da parte dei soldi per farci venire. Così a 11 anni mi ritrovai a Grenoble. Iniziai ad imparare il mestiere di saldatore e a lavorare ma poi fui costretto a licenziarmi perché il mio datore di lavoro mi chiedeva di fare nientedimeno che il "terrorista", erano i tempi della guerra tra la Francia e l'Algeria.
Feci altri lavori finché un giorno – prosegue Vincenzo – avendo sempre sognato di vedere "l'America", decisi di partire. Volevano mandarmi a Vancouver ma il caso, sotto forma di uno sciopero improvviso, decise diversamente in quanto la nave sulla quale mi imbarcai nel giugno del 1965 si fermò inaspettatamente nella città di Québec
Da Québec andai in treno a Montréal dove mi fermai per un po'. Poiché parlavo già il francese, riuscii a trovare lavoro presso la "Montréal Locomotive Works" che fabbricava treni. Piano piano riuscii a inserirmi nella società quebecchese. Ero interessato alla politica e alla vita sociale e diventai anche presidente del sindacato. Nel frattempo mi ero anche sposato ma la mia famiglia mi mancava e così tornai a Grenoble. In quel momento avevo intorno ai 30 anni. Insieme a mio fratello aprimmo un grande caffè. Ma non fu facile, lavoravo 15 ore al giorno per guadagnare molto poco. Sono rimasto 7-8 anni poi – continua – decisi di fare il percorso inverso e di tornare a Montréal. Non mi sentivo bene a Grenoble, mia madre era malata, non poteva più occuparsi dei suoi figli, figuriamoci dei suoi nipoti, i miei figli. Tra l'altro noi avevamo anche un figlio handicappato che poi, purtroppo, è deceduto una decina di anni fa.
A Montréal ho ritrovato un po' di pace e di tranquillità. Ho aperto una galleria d'arte ma non era il posto giusto. Tra una cosa e l'altra mi sono stabilito nella zona della Vecchia Montréal. Parliamo di una trentina di anni fa. Aprii un'altra galleria d'arte e, per attirare la gente nella zona del Vecchio Porto, ho creato un'associazione di commercianti e nel 1992 è iniziata l'avventura del giornale del quale si occupa, a 360 gradi, mio figlio François.
Purtroppo nel 2006, a causa di un cancro, è venuta a mancare anche mia moglie. Ero veramente a terra, non volevo fare più niente, poi piano piano, anche su impulso dei miei familiari, mi sono ripreso».

La festa della Repubblica Italiana
L'edizione di maggio dell' "Echos de Montréal" consacra un'ampia sezione ai 75 anni della Repubblica Italiana. Perché? «Perché sono e mi sento sempre italiano – risponde Vincenzo – perché è giusto che anche "gli altri" conoscano un po' la storia dell'Italia e degli italiani che formano la più grande comunità etnica di Montréal. Tra l'altro, al Museo Pointe-à-Callière è in corso la mostra "Montréal à l'italienne" che completa bene il quadro delle informazioni sulla nostra comunità».
Nel suo peregrinare tra Italia, Francia e Canada Vincenzo aveva perso la nazionalità italiana che poi, fortunatamente, a fatica, e dopo una lunga lotta contro la burocrazia, ha riacquistato. Per me è stato un duro colpo. Come si può togliere – si è chiesto Vincenzo – la nazionalità a qualcuno che è nato in Italia?
Ultimamente la famiglia Di Candido ha avuto bisogno di rivolgersi al Consolato per richiedere dei documenti relativi ad una questione ereditaria in Italia. Grazie all'intervento della Console Generale Silvia Costantini, che ha spiegato al figlio François cosa e come dovessero fare per procurarseli, in questi tempi di pandemia in cui gli accessi negli uffici sono complicati e regolamentati, i documenti sono stati ottenuti rapidamente. «Voglio ringraziare la Console Generale Costantini – tiene a sottolineare Vincenzo – per la sua efficacia e perché non esita mai a venire in aiuto alla comunità italiana di Montreal che può stimarsi fortunata a poter contare su una persona di gran talento per rappresentarla».
Di padre in figlio, da Vincent a François, "l'amore" per l'Italia non cambia. «Anche se sono nato qua, anche se non parlo bene l'italiano ma lo capisco, mi sono sempre sentito – afferma François – più italiano che francese o canadese. Ne ho discusso spesso con mio padre. Penso che un giorno mi piacerebbe abitare a Roma. Con Parigi e New York è una delle mie città preferite. Una cosa è certa: ai campionati del mondo di calcio tiferò sempre per gli Azzurri!»