Buste bio
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Attualità

Esplode la polemica sui sacchetti bio a pagamento: come stanno davvero le cose?

Perché ci sono nuovi sacchetti biodegradabili e quanto dovranno pagarli i clienti

Il nuovo anno è cominciato con non poche polemiche per i consumatori. A partire infatti dal 1° gennaio del corrente anno, è entrata in vigore una legge che regola la distribuzione di sacchetti leggeri e ultraleggeri all'interno dei supermercati utilizzati per frutta e verdura ma anche per carne, pesce, prodotti di gastronomia e panetteria. La legge non riguarda solamente la cosiddetta grande distribuzione organizzata ma anche i piccoli negozi, ad esclusione della vendita al mercato.

Una polemica che sta interessando anche i nostri concittadini che, sui social, esprimono opinioni anche talvolta accese sull'argomento.

Secondo quanto stabilito i sacchetti dovranno essere biodegradabili e compostabili, con un contenuto di materiale rinnovabile al 40% (che diventerà 50 per cento dal primo gennaio 2020 e 60 per cento dal primo gennaio 2021) e certificati da enti appositi. Come per le normali buste della spesa, tali sacchetti saranno distribuiti a pagamento e il prezzo sarà perciò messo tra le voci dello scontrino. La legge approvata lo scorso agosto, convertirebbe un decreto legge dell'agosto 2017 sulla crescita economica del Mezzogiorno (conosciuta come Decreto Mezzogiorno) e riprenderebbe una direttiva europea del 2015 che introduceva nuove misure sull'uso dei sacchetti leggeri.

Il costo dei sacchetti - L'osservatorio dell'Associazione Italiana delle Bioplastiche e dei Materiali Biodegradabili e Compostabili ha stimato che la spesa per ogni busta dovrebbe aggirarsi tra 1 e 3 centesimi. Due centesimi in media dunque ma il costo potrebbe variare a seconda dei supermercati.

Il perché della legge e le alternative al sacchetto bio a pagamento - La scelta sarebbe motivata dal fattore di inquinamento dei sacchetti di plastica, alquanto incidente e con notevoli ripercussioni sull'ambiente. Pagandoli, sia pure poco, si presume che gli acquirenti stiano un po' più attenti a non sprecarli. Ugo Bardi, docente presso la Facoltà di Scienze MM.FF. NN. A Firenze, in un articolo pubblicato su "Il Fatto Quotidiano" ha così commentato: «Si poteva pensare a qualche altro metodo? Certamente sì. La cosa migliore sarebbe stata trovare il modo di eliminare completamente i sacchetti e non solo quelli della frutta e verdura. Buste di carta, oppure contenitori riutilizzabili possono offrire un'alternativa probabilmente migliore. Ci sono molte possibilità che si possono pensare, discutere e sperimentare». Una buona alternativa l'ha offerta anche Stefano Ciafani, Direttore generale di Legambiente: «In altri paesi europei - ha infatti a tal proposito commentato sul Corriere della Sera - i consumatori portano una retina. È igienica, ecologica e si può usare quante volte si vuole».

La polemica impazza su tutte le testate e sul web è stato un tam tam di messaggi, tweet e botta e risposta. Per cercare di far chiarezza anche il Ministero della Salute ha reso nota la propria posizione. I sacchetti dovrebbero essere poi monouso ma ciò non vieta che si possano portare da casa (purché monouso e idonei per gli alimenti). Il riutilizzo dei sacchetti determinerebbe infatti il rischio di contaminazioni batteriche con situazioni problematiche. Il titolare dell'esercizio commerciale avrebbe ovviamente la facoltà di verificare l'idoneità dei sacchetti monouso introdotti.

C'è anche chi guarda all'estero, dove da tempo si possono impiegare sacchetti riutilizzabili in fibre naturali (come il cotone), tranquillamente lavabili in lavatrice ad alte temperature, resistenti e a bassissimo impatto ambientale. Plastica addio, ma almeno un primo passo è stato fatto, che piaccia o no.
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