Assassinato dai tedeschi, pietra d'inciampo alla memoria di Domenico Leone

Da ANPI Corato anche la lettera d'amore che Leone avrebbe potuto scrivere alla sua Vincenza

venerdì 23 aprile 2021 13.16
Domenica 25 aprile la sezione "Maria Diaferia" di ANPI Corato dedicherà una pietra d'inciampo alla memoria di Domenico Leone, il coratino ucciso in piazza dai tedeschi l'11 settembre 1943 dove era accorso per aiutare i Carabinieri e difendere la sua città. La sua storia è sempre stata tenuta viva dal nipote Domenico Scavo, che aveva raccontato l'accaduto anche alla nostra redazione, richiedendo più volte una attestazione di gratitudine da parte della città di Corato al coraggio del nonno a cui quest'anno, in occasione della festa della Polizia Locale di San Sebastiano è stata dedicata una medaglia pedagogica. ANPI, nel suo primo Festival della Liberazione, ha deciso di omaggiare la memoria di Leone con una pietra d'inciampo, affidando alla socia Adriana Latti la responsabilità di scrivere quelle ultime parole che non ha mai potuto dire alla sua Vincenza.

«Quando abbiamo incontrato Domenico Scavo, nipote diretto di Domenico Leone a cui ANPI CORATO ha deciso di dedicare la prima pietra d'inciampo a Corato, - scrive la sezione coratina di ANPI - Adriana Latti, nostra giovanissima socia, era con noi. Le sue domande e i suoi giovani occhi pieni di passione non ci hanno lasciato dubbi. Abbiamo chiesto proprio a lei, Adriana, di trasformare le parole soffocate dall'emozione e i pochi documenti storici in possesso del nipote, in un "racconto emozionale" della vita - e della morte - di questo nostro concittadino di cui abbiamo sentito il dovere di ritrovare la memoria.

Da parte nostra abbiamo accolto di buon grado la libera scelta narrativa di Adriana, che ha voluto usare il genere epistolare per far parlare Domenico con "la sua Vincenza", prestandogli le parole che lui non ha avuto modo di rivolgerle prima di morire, assassinato dai nazisti l'11 settembre 1943.

Affidiamo questa lettera a tutti i Coratini contemporanei, provando a restituire alla città la memoria di quest'uomo semplice ma valoroso, che ha scelto di seguire con spirito di abnegazione il proprio dovere morale di proteggere Corato senza fuggire di fronte al pericolo e affrontando la morte per il bene di tutti.

Ci sembra un doveroso riconoscimento di amore per la propria terra, una speranza per la nostra comunità e soprattutto per questa famiglia rimasta prematuramente senza un padre, solo perché lui, Domenico, ha scelto di combattere invece di girarsi di spalle e andar via. Questo è il messaggio più autentico che vogliamo lasciare ai nostri contemporanei. Essere Partigiani significa prendere Parte, e Domenico ci ha insegnato che tutti possiamo farlo, tutti noi possiamo e dobbiamo scegliere di stare dalla Parte giusta. Ognuno di noi è chiamato anche oggi a scegliere. Ognuno di noi dovrebbe chiedersi come mettersi oggi in condizione di distinguere la realtà dalle menzogne, di collocarsi, rispetto alle scelte che si pongono oggi, dalla parte giusta.

La Resistenza non è affatto finita con la disfatta del fascismo. È continuata e continua contro tutto ciò che sopravvive di quella mentalità, di quei metodi; contro qualunque sistema che dà a pochi il potere di decidere per tutti. Continua nella lotta contro ogni forma di populismo, di nazionalismo, di neocolonialismo. Continua nella lotta contro ogni forma di razzismo, di confini chiusi. Finché ci saranno sfruttati e sfruttatori, oppressi ed oppressori, chi muore di fame e chi ha troppo, ci sarà sempre da scegliere da che parte stare. Perché stare nel mezzo, né di qua né di là, significa avere lo stesso atteggiamento ambiguo di chi, durante il fascismo, non stava né di qua né di là, e finiva per aiutare, rafforzare il nero potere fascista».


La lettera a cura di Adriana Latti

Cara Vincenza Mia,
ho aspettato tanto per scriverti queste righe, tanti anni ci ho messo per avere diritto a quello che mi era dovuto: la memoria collettiva.
Non c'è stato giorno che io non pensassi a te e alle nostre due figliole; Domenica non l'ho nemmeno presa tra le braccia, eppure me lo ricordo ancora bene il tuo pancione e tuttala paura, che non ci siamo mai raccontati, di non farcela con la seconda bimba: un po' per i soldi, un po' per la guerra.
Che meraviglia sentire che le hai dato il nome mio. Ho avvertito nella pancia quella sensazione di quando non abbiamo avuto da mangiare, ma questa volta mi piaceva.
Sei stata moglie fedele e attenta, la migliore madre che le nostre figlie potessero avere.
Chissà quanto hai faticato nel crescerle senza di me, ma tu sei stata forte e coraggiosa, in questo eravamo così simili e mai smetterò di ringraziarti.
Quanto sono stato orgoglioso di te quando ho saputo del tuo lavoro come bidella presso la scuola "Fornelli": non ti sei mai data per vinta e hai fatto da padre e madre, quanto sono fiero di te.
La voglia di abbracciarti mi mangia, Vincenza mia, anche se non te l'ho detto mai, anche se so che sei arrabbiata.
Proprio per questa rabbia, di cui voglio liberarti, decido di scriverti perché hai diritto di sapere, non ti ho parlato mai.
Voglio spiegarti bene quella giornata, voglio spiegarti cosa prova un militante che, di fronte alla morte, si scopre solo uomo: carne e ossa.
L'11 settembre 1943 eravamo a Corato e 8 soldati tedeschi erano giunti con una macchina in piazza Municipio. Non capivo bene cosa dicessero. Tu sai che per me l'italiano è già una lingua difficile. Cosa può saperne un bracciante di paroloni tedeschi? I nemici cercarono di impossessarsi dell'autocorriera che prestava servizio Corato-Trani e io quel giorno ero solo un militare convalescente. Avrei potuto guardare quello che succedeva, ma il mio spirito di uomo libero e di italiano, mi ha detto altro.
All'improvviso la parte tedesca iniziò a sparare raffiche di mitragliatrice e di pistola mitragliatrice. Il solo rumore mi è bastato per capire che avrei perso la vita in quel conflitto.
Ma il cuore mi diceva rimani! E sono rimasto. Io Domenico Leone, ho volutamente prestato aiuto all'Arma.

Non potevo restarmene nascosto in caserma, non sarebbe bastata una vita per perdonarmelo; così decisi di dare la mia.
Dovetti e volli farlo.
Come avrei potuto restare a guardare immobile i miei compagni, quegli uomini morirmi di fronte? Non avrei dovuto? Come avrei passato il resto dei miei giorni al fianco tuo e delle nostre figlie pensando che anche altri padri e mariti stavano perdendo e avevano perso la vita? Come avrei potuto abbracciare le mie figlie senza rimorso, pensando che anche altri bambini avrebbero sofferto la perdita del loro padre? Come avrei abbracciato te, Vincenza, sapendo che altre mogli avrebbero pianto come tu stai piangendo ora e come forse piangerai per sempre?
E soprattutto come avrei potuto guardarmi ancora allo specchio, con l'animo macchiato di chi ha visto senza agire, di chi voleva giustizia ma non ha fatto nulla per ottenerla.
Come avrei potuto guardare la mia Corato nelle mani del nemico? Come avreste voi potuto guardare la nostra Italia libera oggi?
I carabinieri di Bari, nella loro relazione, scrissero proprio così "In tale occasione veniva ucciso il bracciante Leone Domenico di Savino e fu Tavano Maria, nato a Corato il 6 aprile 1912, che volontariamente aveva voluto prestare valido aiuto all'Arma", voglio che tu sia fiera di me, voglio che tutti quelli che verranno lo siano e che portino viva la mia memoria affinché sia fatta giustizia e libertà sempre.
Avrei voluto continuare ad essere padre e marito, ma sarei stato prigioniero della vita stessa se avessi scelto la vita; sarei stato complice dei nemici; sarei stato un vigliacco, un codardo e non me lo sarei perdonato mai.
Non sarei stato l'uomo che oggi tu ricordi stringendo, di nascosto agli occhi indiscreti, il maglione bucato che indossavo quando hanno raccolto il mio corpo morto e che hai voluto tenere.
Ma oggi, Vincenza mia, dobbiamo festeggiare! Oggi è un gran giorno!
Oggi giustizia è stata fatta: il mio gesto e quello di tanti uomini come me sono diventati memoria, cambiamento per quelli che verranno, per i partigiani e le partigiane del domani.
Cara moglie, non ti ho regalato spesso fiori, ma oggi… oggi tutti i papaveri rossi sono per te:
questo è il fiore del partigiano, che io non sono, ma come lui son uomo e son morto per la libertà.


La libertà mia.
La libertà tua.
La libertà nostra.
La libera Italia.


Alla mia Vincenza,
tuo Domenico Leone.

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