Francesco Carofiglio a Corato
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Applausi ed emozione, a Corato "La stagione bella" di Francesco Carofiglio

Ieri l'appuntamento conclusivo della rassegna Libri in Scena

«Questo è un libro pieno di tranelli, non fidatevi mai di quello che dico»: occhiali rossi e occhi gentili, Francesco Carofiglio scherza così sulla sua opera intensa e intimista, La stagione bella, edita da Garzanti. La presenta a Corato, nell'appuntamento conclusivo della rassegna Libri in Scena presso la libreria Sonicart B-Side, moderato dall'attrice teatrale Agata Paradiso.

Due generazioni a confronto, Parigi lontana sullo sfondo, un mestiere molto particolare, quello dell'olfattivista, e una donna che dovrà con la morte della mamma far fronte a un passato messo troppe volte da parte. «Viola ha quarant'anni, è una psicologa ma non ha mai esercitato la professione di terapeuta» spiega l'autore a proposito del suo personaggio principale. «Quando a venticinque, ventisei anni era a Parigi per il tirocinio ha incontrato un uomo molto più grande di lei, bellissimo, profumiere in una maison parigina. Si chiama Marcello, e tra i due c'è un innamoramento che non prevede lo scambio di corpi, Marcello è omosessuale. Decidono di aprire una bottega a Milano in cui creano delle fragranze, ma a un certo punto Viola si accorge di dover mettere insieme le sue due vocazioni, quella per la psicologia per cui ha studiato e quella per i profumi, e si inventa un mestiere che non esiste. Lei fornisce delle consulenze olfattive a chi va in laboratorio, esattamente come si fa per le persone che vanno in terapia, solo che lei lavora su domande che hanno a che fare con un passato remoto, spesso l'infanzia, sollecitando la parte olfattiva, quella più potente dei sensi, e riesce a riportare alla luce storie delle persone che erano sopite. Viola è molto brava con gli altri, meno con se stessa».

Il suo filo con il passato, le sue questioni irrisolte portano dritte a sua madre, Barbara, altra figura di un libro profondamente femminile: «Barbara era un'italianista brillante alla Sorbona, aveva davanti a sé una grande prospettiva di vita, la chiamavano la belle italienne. Resta incinta in maniera casuale, per un'avventura, torna in Italia e mette una linea di demarcazione molto netta tra la sua vita precedente e la sua successiva con Viola. Questo diventa l'argomento tabù tra Viola e Barbara, il cuneo d'ombra nel quale Viola deciderà di infilarsi».

Non è sola ma solitaria, Viola, specifica l'autore barese, raccontando anche qualcosa di sé: «Ha un rapporto consolidato con la vita solitaria, più che con la solitudine, sono due sfumature diverse. Lei è abituata a vivere sola, non si è mai sposata, non ha mai avuto una relazione duratura, le sue sono molto rapide, di transito, anche autopunitive se dobbiamo dirla tutta. Ma da sola vive bene, abituata ai suoi ritmi. Certo, è anche una cosa che ci diciamo noi che viviamo da soli, poi ci sono dei periodi che ti rendi conto che forse vorresti non essere solo. E il mio rapporto con la solitudine è abbastanza simile».

Nella carrellata di affascinanti personaggi femminili del libro c'è anche Ginevra, che Viola incontra in un momento molto particolare, all'indomani del suo quarantesimo compleanno, e dopo una notte di eccessi. «Il giorno dopo è sfatta, detesta l'idea di compiere quarant'anni, come capita a tutti. Marcello, suo collega e ormai amico, che supplisce a tante assenze, la aiuta a superare la sbornia, la mette in auto e partono, vanno in campagna in un posto misterioso che Viola non conosce, entrano in un viale di cipressi, e alla fine c'è questa casa del Seicento bellissima, davanti alla quale li aspetta una signora, una gentildonna di novantadue anni, molto energica, ancora molto bella, e questo sarà un incontro fondamentale nella vita di Viola. Sono affezionato a questo personaggio perché l'ho conosciuta, non si chiamava Ginevra e non era esattamente così».

Quando gli chiedono quale sia il segreto per calarsi così nella parte, scrivere il femminile in maniera così convincente e intima, Francesco Carofiglio non ha dubbi: «Sono nato in una famiglia con delle donne formidabili. Mia madre e mia nonna, entrambe siciliane. Mia mamma era una italianista, mia nonna una latinista, nata a Pachino, figlia degli ultimi discendenti di una famiglia marchesale, padroni di Ragusa, diceva sempre, ma non era rimasto nulla se non i racconti. Io ho passato la mia infanzia con i racconti di mia nonna, non vedevo l'ora di avere la febbre, mi mettevo lì sotto le coperte, lei si metteva di fianco e raccontava una Sicilia mitica. Conoscevo la Sicilia molto prima di vederla. Mi sono abituato a stare dentro un mondo molto femminile, sono un maschio eterosessuale ma credo di avere una parte femminile molto sviluppata, che mi arriva da questa fortuna. E quando mi sono accostato a questa storia, dovevo essere lei e affondare nella palude dell'incoscio, è stato un lavoro lungo ma del quale sono molto contento, anche se oggi mi manca un po'».

A catturare immediatamente l'attenzione è anche il personaggio di copertina, una giovane donna che guarda dritto da una vecchia foto, e che, spiega Carofiglio, in realtà nella sua testa non è né Viola né sua madre. «Volevo piuttosto rappresentasse la storia in sé. La copertina ha una storia curiosa: una quindicina d'anni fa ero a Parigi, prendevo quasi ogni anno un piccolo appartamento nel Marais, il vecchio quartiere ebraico, bellissimo e pieno di luoghi misteriosi. Lì vicino c'era un negozio che vendeva stampe, disegni e fotografie, che quasi sempre arrivavano dallo svuotamento di vecchie case, ricordi appartenenti ad altri. C'era un'immagine di una giovane donna, con uno sguardo che aveva questo mix di felicità e malinconia, e la comprai. Non è l'immagine di copertina: mi è tornata in mente quando si è presentata la necessità. La casa editrice mi ha proposto delle foto belle, ma non con quello che cercavo. Non potevo usare proprio quella, la foto di qualcuno che non sapevo chi fosse, ma ho ripreso degli schizzi che avevo fatto su quella foto, ci ho lavorato, ho elaborato dei dipinti digitali attraverso l'interpolazione, verso qualcosa di più vicino a una fotografia, e infine è diventata una fotografia. Quella che vedete è una donna che non esiste, l'ho disegnata io».
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