Riccardo Scamarcio si racconta dal set del film “Non sono un assassino”
Riccardo Scamarcio si racconta dal set del film “Non sono un assassino”
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Riccardo Scamarcio si racconta dal set del film “Non sono un assassino”

Intervista all’attore andriese tra disquisizioni d’arte e Fidelis Andria

Gente che entra e ti chiede di spostarti. Gente che esce e ti chiede di rimetterti dove stavi prima. Qualcuno è di corsa in cerca di qualcosa, qualcuno lentamente passeggia immerso nei suoi pensieri. Qualcuno rincorre qualcun altro. Cavi, monitor, apparecchiature, luci.

Poi il "Ciak, si gira" e cade il silenzio. L'alveare brulicante si paralizza e diventa una chiesa silenziosa. Sul suo altare ci sono i protagonisti della scena, sotto i riflettori, all'interno di un'aula di tribunale.

Siamo al secondo piano della Pinacoteca "C. Giaquinto" di Bari e questo è il mondo dopo le imponenti porte alla fine della scalinata. Siamo sul set di "Non sono un assassino", un film tratto da un libro di Francesco Carigella, con la regia di Andrea Zaccariello.

Un mondo con altri tempi e altri luoghi rispetto a quelli fuori dalla Pinacoteca, dove tutto è sereno e silenzioso come sempre in un pomeriggio barese di primavera sul lungomare; l'unico indizio di quello che sta accadendo dentro sono i camion della Cinetecnica parcheggiati lì vicino e una grande luce sul balcone che illumina la scena all'interno.

Sotto i riflettori del set del cinematografico vi troviamo l'attore andriese Riccardo Scamarcio e noi siamo andati ad intervistarlo. Lo incontriamo e, tra un "ciak" e l'altro, si concede con piacere all'intervista.

Giacca e camicia, ma senza cravatta. Primo bottone sbottonato come chi vuole riprendere fiato dopo il lavoro. È Riccardo a volerla sbottonata o il suo personaggio? Non lo sappiamo. La pressione del set pian piano si spegne, si accende una sigaretta e chiacchieriamo. Quella giacca e quella camicia sono i "panni" di Francesco Prencipe, il protagonista della storia che, tra realtà ed elucubrazioni mentali, viene interpretato da Riccardo.

«Il film racconta la storia di una lunga amicizia tra tre personaggi, interpretati da me, Alessio Boni, ed Edoardo Pesce; ma non solo. – racconta Scamarcio – Uno dei tre viene assassinato e la vicenda si snoda avanti e indietro nel tempo, raccontando di quell'amicizia, del processo e portando alla luce cosa sia successo davvero. Questo, ovviamente, non posso raccontarvelo». Riccardo ride.

Un'amicizia che diventa tragedia. Degli amici che diventano possibili assassini. Si tratta di una pellicola che vuole raccontare la verità? O fare giustizia? Forse rassicurarci in un mondo che non sempre riesce a trovare i colpevoli? Questo Riccardo non ha potuto svelarcelo, ma gli abbiamo chiesto quale potrebbe essere, dunque, il ruolo del cinema e dell'arte in questo momento storico. Qual è, oggi, la responsabilità dell'artista?

«L'arte, o meglio, l'atto della creazione sembra oggi dover essere necessariamente spinto verso un obiettivo pedagogico. Ritengo che l'arte sia un moto interiore che nasce da un bisogno, oserei dire quasi un atto egoistico. Ce lo hanno insegnato i Greci che, con la tragedia, volevano costruire un ponte con l'aldilà e raggiungere gli déi. Oggi invece tendiamo a caricare l'arte di responsabilità; ma, ovviamente, non possiamo generalizzare: dopotutto, viviamo in un mondo in cui la globalizzazione ha condizionato i nostri gusti.

Il modello americano è quello preponderante, con distribuzioni cinematografiche sempre più potenti. Dagli anni 2000, poi, con la diffusione dei social e dei reality il pubblico è diventato protagonista dello spettacolo, imparando a rivendicare il suo posto nella macchina dello show. Così, per compiacere il pubblico, si tende a celebrarlo. È chiaro che difficilmente, a questo punto, si possa parlare di arte come di un atto creativo puro».

È per sfuggire alle dinamiche del mercato che, dal 2013, ti sei impegnato come produttore? «No. Quel progetto è nato come un atto d'amore per il primo film con la regia di Valeria Golino». Riccardo non aggiunge altro e noi vogliamo rispettosamente tenerci a distanza dalla vita privata che lui custodisce con tanta riservatezza.

Ma, nel millennio della condivisione telematica della vita, com'è essere lontano dai social e dai riflettori? «Per un attore è fondamentale avere una vita privata, - spiega Riccardo - poter vivere una normalità in cui prendere consapevolezza delle proprie emozioni e poterle preservare. Inoltre, sono un po' diffidente per natura e ho sempre cercato di sfuggire alla forma ricattatoria dei social per cui "se vuoi guardare, devi essere visto". Penso che i rapporti e le amicizie si costruiscano nel tempo e nella realtà, perciò questa esposizione del privato la trovo un po', come dire, sconcia».

Allora allontaniamoci dalla sfera privata e ritorniamo al Riccardo Scamarcio attore, che ha calcato numerosi set italiani senza farsi mancare le esperienze hollywoodiane con "John Wick" e non solo. Quali sono pregi e limiti di questi due, diversissimi, mondi cinematografici?

«Ci sono due Hollywood e le ho conosciute entrambe. – spiega Scamarcio – C'è la Hollywood indipendente e intrigante, che fa fatica ad emergere, e quella degli Studios, preoccupata del mercato e di intrattenere il pubblico. Il che va anche bene se c'è consapevolezza di questo obiettivo senza grandi pretese. Invece, in Europa e soprattutto in Italia guardiamo al cinema come una vera forma d'arte, un linguaggio capace di far luce sulle emozioni, analizzare i sentimenti e indagare le dinamiche dell'essere umano o della società. Capace di approfondire, scoprire, rappresentare.

Quello da cui bisogna guardarsi è il cinema che, se non riesce ad assecondare il gusto del pubblico, riesce a manipolarlo rendendosi mezzo di propaganda. Il cinema ha un grande potere, capace di condizionare usi e costumi, stili di vita, acquisti, cultura personale e musica. Questo ci conforma e ci schiavizza».

Dunque il teatro è l'unico luogo anarchico e sincero? «No, affatto. Il teatro nasce con un obiettivo nobile ma può essere di rappresentazione e di propaganda tanto quanto il cinema, forse anche di più».

Chiudiamo il cerchio e ritorniamo da dove siamo partiti. Siamo su un set in Puglia, in terra natìa…«Ok, dai, arriviamo al punto: Semper Fidelis! – afferma Riccardo con un sorrisone spensierato e lo sguardo ridente di chi ha ritrovato gli amici d'infanzia – Oltre che avere la mia squadra del cuore, Andria è la mia città, il luogo in cui sono cresciuto, dove so di ritrovare la famiglia, gli amici e non c'è un giorno in cui non parli in andriese.

Ad Andria ho vissuto gli anni più importanti della vita, quelli della formazione. Lì ho lasciato tradizioni, luoghi e ricordi a cui sono molto legato… Tipo quando la Fidelis è arrivata in Serie B. – aggiunge ridendo – Quando torno a casa guardo la mia città con gli occhi di chi, nonostante i pregi e i difetti, è condizionato dalla nostalgia e da un amore assoluto. Nonostante tutto, da Andria non me ne sono mai andato».

È con queste parole e una risata che si trasforma in un sorriso affettuoso perso tra i ricordi che salutiamo Riccardo e lo lasciamo tornare in quell'affascinante (per noi misterioso) alveare che è il set, chiudendoci alle spalle le grandi porte del secondo piano della Pinacoteca.
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