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ANPI Corato: intervista al presidente di sezione Giovanni Capurso

Bilancio delle attività a un anno dall’apertura della sede coratina

Giovanni Capurso è già da un anno presidente della sede coratina di uno degli ultimi baluardi dell'antifascismo e del pacifismo italiano: l'ANPI. Ed è proprio in un momento così delicato e complesso come l'incessante evolversi del conflitto russo-ucraino che, in un'intervista rilasciata ai microfoni di CoratoViva, chiarisce il ruolo dell'associazione nello scenario politico nazionale e pone chiarezza sulle modalità di supporto alle vittime di questa guerra.

«Spero solo che si rafforzi la convinzione [...] che le guerre, tutte le guerre sono un orrore. E che non ci si può voltare dall'altra parte, per non vedere le facce di quanti soffrono in silenzio».
(Gino Strada)

Presidente, in che modo riesce l'ANPI - dopo quasi 77 anni dalla caduta del Fascismo - a mantenersi un'associazione propositiva e al passo coi tempi?

«Faccio innanzitutto una premessa doverosa: l'ANPI nasce nel pieno della Resistenza a Roma per iniziativa degli stessi esponenti del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) a supporto delle operazioni di Liberazione. Dal 2006, tuttavia, il direttivo nazionale ha deciso di aprire l'iscrizione all'associazione a tutti coloro che condividono i valori dell'antifascismo. Lo scopo di questa decisione è permettere all'associazione di continuare a esistere nonostante i partigiani che avevano davvero combattuto fossero sempre di meno per ragioni anagrafiche. Il concetto di antifascismo è semanticamente più ampio e può essere idealmente applicato ad ogni forma di oppressione politica e civile».

Come mai in generale l'antifascismo appare un concetto così sbilanciato a sinistra? Perché la quasi totalità dei partiti di destra fatica a riconoscersi antifascista?

«L'ANPI da statuto è apartitica, sebbene forse sia l'associazione politica per eccellenza. Ciò perché la Resistenza fu guidata da tutti i partiti antifascisti (liberali, democristiani, socialisti, azionisti e comunisti). Tutti i partiti, infatti, ad esclusione di quello fascista naturalmente, subirono le conseguenze di una feroce dittatura fino ad essere considerati illegittimi. Negli anni la quasi totalità degli esponenti politici, a tutti i livelli, vennero mandati al confino, incarcerati e in alcuni casi uccisi per le percosse o furono costretti ad andare in esilio. Ma nel Dopoguerra i rigurgiti del fascismo non sono mai stati estirpati dalla nostra società in quanto non sono mai stati fatti realmente i conti col passato. A questo contribuì il famoso Decreto Togliatti del giugno 1946. In quel periodo era evidente la volontà di Palmiro Togliatti di accreditarsi, di fronte al mondo occidentale, come leader di un grande partito democratico, popolare e moderato. Infatti, il momento storico in cui Togliatti elaborò il disegno di legge era quello in cui già si intravedeva la contrapposizione delle zone d'influenza, e la situazione delicata del Partito comunista italiano suggerì una posizione di prudenza e moderazione, forse eccessiva. La conseguenza fu che per tanti altri casi giudiziari, eccellenti e minori, ci si illudeva di guardare avanti, a un'Italia diversa e nuova».

«Ancora oggi c'è una porzione dell'opinione pubblica che ha assunto posizioni neo fasciste (emblematico è stato l'assalto alla sede centrale della CGIL) e alcuni partiti di destra non riescono a prenderne le distanze. Lo dovrebbe fare chiaramente Giorgia Meloni ma avere il sostegno di questa porzione di elettorato, che corrisponde a una fetta più ampia di quello che a prima vista si possa pensare, fa comodo. Come hanno dimostrato alcune coraggiose inchieste, questi partiti sono anche contaminati al loro interno da componenti estremiste e filofasciste. Inoltre è chiaro che i nazionalismi dell'ultimo periodo, comunemente chiamati 'sovranismi', sono decisamente perdenti in un'epoca in cui si va verso l'unità e la fratellanza dei popoli. È proprio questa unità, che riscontriamo in istituzioni sovranazionali come l'UE, ad aver permesso un'epoca di pace oggi purtroppo minacciata. Ecco, oggi le sinistre interpretano meglio questa esigenza di unità e cambiamento».

Lo scorso 7 marzo Carlo Calenda ha twittato:

"La resa. Ucraini arrendetevi, non difendete la patria dall'invasore. L'ANPI da molto tempo non rappresenta altro che se stessa. Oggi sappiamo che rappresenta anche i valori opposti a quelli che animarono la resistenza".

Come replica e qual è la posizione dell'ANPI riguardo al conflitto?

«Penso che Carlo Calenda sia decisamente in malafede e ciò rientra a mio avviso in una polemica più ampia verso il PD: ultimamente tra Pagliarulo e Letta ci sono stati scambi di opinioni sulla guerra in Ucraina che, pur divergenti, rimangono molto cordiali. Detto
ciò, il parallelismo che viene oggi fatto tra la guerra in Ucraina e quella partigiana in Italia è decisamente improprio in quanto durante la Liberazione il nucleare non era stato ancora utilizzato. In tale ottica è evidente che il recente invito dell'ANPI non sia un richiamo qualunquista alla pace, ma un saggio appello: la disponibilità di armi atomiche, anche da parte di Paesi che lasciano il loro popolo morire di fame, può portare facilmente l'umanità verso la catastrofe. Quindi dobbiamo stare molto attenti».

Con la sede coratina dell'ANPI di cui lei è presidente, si sta attivando per mostrare vicinanza al popolo ucraino? Cosa è in programma nei prossimi giorni?

«Ultimamente ci siamo attivati in una raccolta di beni di prima necessità. Devo dire che è andata ben oltre le aspettative. In particolare, con il supporto di alcune farmacie, abbiamo raccolto molti medicinali. E di questo devo ringraziare il gruppo giovani, da poco costituitosi, sempre in prima linea sul fronte umanitario. La raccolta è ancora in corso. Parallelamente devono andare avanti le voci di protesta. È un aspetto che a mio avviso non va minimizzato. Sui social vedo chi addirittura ridicolizza i pacifisti: è un gravissimo errore. L'ANPI, in tutta Italia, compresa Corato, sta spingendo molto in questa direzione. Le condanne dell'opinione pubblica internazionale, assieme alle sanzioni, può contribuire molto nel fare pressioni su Putin. La manifestazione di Corato, va ovviamente vista come un contributo in un quadro più ampio. Se l'uso delle armi non dovesse cessare non escludiamo di farci promotori di altre iniziative simili».
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