
Politica
La fascia tricolore al Pride: un atto di rappresentanza o un simbolo divisivo?
L'uso della fascia istituzionale alla manifestazione per i diritti civili infiamma la politica locale, tra chi invoca responsabilità e chi denuncia un presunto uso improprio del simbolo
Corato - lunedì 23 giugno 2025
9.20
A Corato, la scelta del sindaco Corrado De Benedittis di indossare la fascia tricolore al Pride sabato scorso ha scatenato un acceso dibattito politico, cristallizzando due visioni opposte sul ruolo delle istituzioni e sulla natura delle manifestazioni per i diritti civili. Da un lato, le forze politiche "Rimettiamo in moto la città", "Demos" e Giovani Democratici, dall'altro "Polis Corato" si confrontano su un gesto che, per alcuni, è un atto dovuto di rappresentanza, per altri, una mossa divisiva.
Per "Rimettiamo in moto la città" e "Demos", la presenza del sindaco con la fascia al Pride è un'affermazione inequivocabile: «Il Pride è una questione di diritti» e «La politica è fatta di scelte, non di equilibri pavidi». In un momento storico in cui i diritti civili sono «continuamente messi in discussione, calpestati» la partecipazione istituzionale al Pride non è vista come una provocazione, ma come una «scelta netta di campo» e un «atto di responsabilità».
La narrazione di queste forze politiche è chiara: la fascia tricolore non è un mero ornamento per «tagli di nastro», ma un simbolo della Repubblica «fondata sulla pari dignità sociale», che deve essere indossata anche per «rivendicare giustizia sociale e diritti per tutti», specialmente «lì dove si chiede uguaglianza, non solo nei contesti 'comodi'».
Definire il Pride «divisivo o ridicolo» o etichettarlo come «folclore» significa «voltare le spalle a una parte della cittadinanza che ogni giorno chiede solo ciò che dovrebbe essere garantito a tutti: rispetto, diritti, dignità». Viene, inoltre, respinto con forza il tentativo di separare il ruolo istituzionale da quello politico, definendolo un espediente per «delegittimare la presenza pubblica nei luoghi dove si fa democrazia». Si sottolinea che «non esiste rappresentanza senza assunzione di responsabilità» e che «rappresentare tutti non significa stare fermi: significa scegliere». In sintesi, per i sostenitori del sindaco, «stare al Pride non è una provocazione. È una dichiarazione di cittadinanza piena».
Dall'altra parte, "Polis Corato" esprime una netta disapprovazione per l'uso della fascia tricolore al Pride, considerandolo un «uso così irrispettoso di un simbolo dello Stato». La loro argomentazione si concentra sul principio di rappresentanza universale: «Quella fascia rappresenta tutti i cittadini, compresi coloro che deplorano queste manifestazioni ridicole». Per "Polis Corato," l'uso della fascia «senza un mandato» per questo tipo di eventi è «un atto profondamente divisivo».
Pur riconoscendo al sindaco Corrado De Benedittis la libertà personale di presenziare a tali manifestazioni, si ritiene che «se invece è il sindaco di Corato che partecipa, allora dovrebbe evitare, per il rispetto di tutti coloro che non condividono». La critica si focalizza sulla percezione che la presenza istituzionale con il simbolo di tutti i cittadini, in un evento ritenuto «ridicolo» e non universale, finisca per alienare una parte della comunità, anziché rappresentarla.
In definitiva, il dibattito a Corato evidenzia una profonda spaccatura sulla funzione dei simboli istituzionali e sul modo in cui le amministrazioni locali dovrebbero interpretare il proprio ruolo di rappresentanza di fronte a tematiche sensibili come i diritti civili. La questione della fascia al Pride diventa così un simbolo essa stessa, non solo della manifestazione, ma anche delle diverse visioni politiche che animano la città.
Per "Rimettiamo in moto la città" e "Demos", la presenza del sindaco con la fascia al Pride è un'affermazione inequivocabile: «Il Pride è una questione di diritti» e «La politica è fatta di scelte, non di equilibri pavidi». In un momento storico in cui i diritti civili sono «continuamente messi in discussione, calpestati» la partecipazione istituzionale al Pride non è vista come una provocazione, ma come una «scelta netta di campo» e un «atto di responsabilità».
La narrazione di queste forze politiche è chiara: la fascia tricolore non è un mero ornamento per «tagli di nastro», ma un simbolo della Repubblica «fondata sulla pari dignità sociale», che deve essere indossata anche per «rivendicare giustizia sociale e diritti per tutti», specialmente «lì dove si chiede uguaglianza, non solo nei contesti 'comodi'».
Definire il Pride «divisivo o ridicolo» o etichettarlo come «folclore» significa «voltare le spalle a una parte della cittadinanza che ogni giorno chiede solo ciò che dovrebbe essere garantito a tutti: rispetto, diritti, dignità». Viene, inoltre, respinto con forza il tentativo di separare il ruolo istituzionale da quello politico, definendolo un espediente per «delegittimare la presenza pubblica nei luoghi dove si fa democrazia». Si sottolinea che «non esiste rappresentanza senza assunzione di responsabilità» e che «rappresentare tutti non significa stare fermi: significa scegliere». In sintesi, per i sostenitori del sindaco, «stare al Pride non è una provocazione. È una dichiarazione di cittadinanza piena».
Dall'altra parte, "Polis Corato" esprime una netta disapprovazione per l'uso della fascia tricolore al Pride, considerandolo un «uso così irrispettoso di un simbolo dello Stato». La loro argomentazione si concentra sul principio di rappresentanza universale: «Quella fascia rappresenta tutti i cittadini, compresi coloro che deplorano queste manifestazioni ridicole». Per "Polis Corato," l'uso della fascia «senza un mandato» per questo tipo di eventi è «un atto profondamente divisivo».
Pur riconoscendo al sindaco Corrado De Benedittis la libertà personale di presenziare a tali manifestazioni, si ritiene che «se invece è il sindaco di Corato che partecipa, allora dovrebbe evitare, per il rispetto di tutti coloro che non condividono». La critica si focalizza sulla percezione che la presenza istituzionale con il simbolo di tutti i cittadini, in un evento ritenuto «ridicolo» e non universale, finisca per alienare una parte della comunità, anziché rappresentarla.
In definitiva, il dibattito a Corato evidenzia una profonda spaccatura sulla funzione dei simboli istituzionali e sul modo in cui le amministrazioni locali dovrebbero interpretare il proprio ruolo di rappresentanza di fronte a tematiche sensibili come i diritti civili. La questione della fascia al Pride diventa così un simbolo essa stessa, non solo della manifestazione, ma anche delle diverse visioni politiche che animano la città.